L’Italia spende poco per l’istruzione, con forti differenze tra Nord e Sud: preoccupano il calo degli studenti e il rischio chiusura per molte scuole primarie.
Presentato il 27 novembre a Roma, il Rapporto Svimez 2024 ha messo in luce i punti deboli del sistema scolastico italiano. La nostra spesa per l’istruzione è tra le più basse in Europa: nel 2021, l’Italia ha destinato il 4% del PIL (3,7% escludendo la ricerca e sviluppo) contro una media OCSE del 5% e un 4,4% registrato nell’Unione Europea; un dato che colloca il Paese all’ultimo posto tra le grandi economie europee.
La situazione si aggrava con il calo demografico, che colpisce più duramente il Sud. Tra gli anni scolastici 2017-18 e 2022-23, gli studenti sono passati da oltre sette milioni e mezzo a circa sette milioni (-6%), ma nel Mezzogiorno la contrazione è stata del -9%, contro un -4% nel Centro-Nord. Questo trend mette a rischio la tenuta del sistema scolastico, con 3.000 comuni italiani (38% del totale) in cui le scuole primarie potrebbero chiudere nei prossimi anni.
“Senza correttivi immediati e scelte politiche ambiziose, gli effetti sulla tenuta del sistema scolastico saranno dirompenti, portando a rischio di chiusura i presidi scolastici nelle aree a maggior degiovanimento. Per il solo ciclo della primaria, il rischio è concreto per circa 3mila comuni italiani, il 38% del totale” sottolinea il rapporto, evidenziando l’urgenza di interventi strutturali.
Stipendi bassi e docenti anziani: il peso delle disparità territoriali
Il rapporto tra insegnanti e studenti in Italia è più basso rispetto alla media europea: 1 docente ogni 10 alunni, contro una media OCSE di 1 a 13. Tuttavia, esistono significative differenze regionali: nel Mezzogiorno il rapporto scende a 9 alunni per insegnante, mentre nel Centro-Nord si attesta su 11. Le regioni con il maggior numero di studenti per docente sono Lombardia (12,6), Emilia-Romagna e Veneto (12,4), mentre Molise (7,5) e Basilicata (8,2) registrano i valori più bassi.
Anche i salari degli insegnanti italiani sono tra i più bassi in Europa. Secondo i dati OCSE, il salario medio annuo lordo è di 47.111 dollari, nettamente inferiore alla media OCSE di 54.241 dollari e a quella UE di 52.975 dollari. Nelle scuole italiane, gli stipendi medi variano da 30.141 euro per la scuola primaria a 34.027 euro per la scuola secondaria di II grado.
Inoltre, il corpo docente italiano è mediamente più anziano rispetto agli altri Paesi. Nel Mezzogiorno, il 46,6% degli insegnanti ha più di 54 anni, rispetto al 38,3% del Centro-Nord. La componente giovane, con meno di 35 anni, è solo il 4% a livello nazionale, ma scende al 2,5% nel Sud. Questo squilibrio anagrafico rischia di peggiorare ulteriormente la situazione nei prossimi anni.
Dispersione scolastica: il Sud e le Isole fanalini di coda
L’abbandono scolastico resta una piaga, soprattutto al Sud. Un’indagine condotta dal Ministero dell’Istruzione ha seguito il percorso scolastico di un gruppo di alunni dal 2012 al 2020, dal primo anno di scuola secondaria di I grado al quinto anno di scuola secondaria di II grado, rilevando che il 16,5% degli studenti ha lasciato gli studi prima di ottenere un diploma.
Il fenomeno è più marcato nelle regioni meridionali e insulari: in Sicilia, il tasso di abbandono è del 21,1%, seguita dalla Campania con il 19,9%. Al contrario, Basilicata (9,8%) e Molise (11,3%) mostrano i valori più bassi. La dispersione colpisce maggiormente i ragazzi (19%) rispetto alle ragazze (13,7%) e interessa in modo particolare gli studenti di cittadinanza straniera, specialmente coloro nati fuori dall’Italia.
Un sistema scolastico da rifondare
Il Rapporto Svimez 2024 evidenzia la necessità di interventi urgenti per ridurre le disuguaglianze territoriali e garantire un’istruzione di qualità su tutto il territorio nazionale. Investire nella scuola non è solo una questione di giustizia sociale, ma un passo cruciale per il futuro del Paese. Resta da vedere se il governo sarà in grado di affrontare queste sfide con politiche efficaci e lungimiranti.