Una scuola media a Roma è al centro di un dibattito a causa dell’introduzione di un nuovo sistema didattico, noto come modello “Dada”, che prevede la rotazione degli studenti nelle aule degli insegnanti anziché il contrario. Questa innovazione ha portato a una serie di necessità logistiche, in particolare allo spostamento continuo degli studenti con i loro libri e materiale didattico.
Nel tentativo di affrontare questa sfida, la scuola ha pianificato l’installazione di armadietti personali per gli studenti. Tuttavia, la struttura educativa non ha avuto i mezzi finanziari per acquisire autonomamente questi armadietti. Di conseguenza, la dirigente scolastica ha emesso una circolare in cui richiede ad ogni studente che volesse usufruire dell’armadietto di pagare un contributo di 24 euro. Gli studenti che non verseranno questa somma saranno costretti a continuare a trasportare i propri materiali da un’aula all’altra.
Questa decisione ha generato proteste significative da parte dei genitori degli studenti. Le loro preoccupazioni non si limitano all’aspetto economico, ma si estendono alla creazione inevitabile di disparità tra gli studenti. Gli armadietti diventerebbero un simbolo di divisione sociale, delineando una chiara distinzione tra coloro che possono permetterseli e coloro che no. Questo solleva una serie di questioni etiche e pratiche, minando i principi fondamentali di inclusione su cui si basa il sistema scolastico dell’obbligo.
La controversia evidenzia la necessità di affrontare le sfide logistiche in modo equo ed inclusivo, senza creare barriere economiche che possano influire negativamente sull’esperienza educativa degli studenti e minare i valori di uguaglianza nel contesto scolastico