Quasi la metà dei laureati italiani sceglie di lavorare all’estero. Questo dato allarmante emerge da uno studio recente presentato durante un convegno alla Scuola Normale di Pisa, che mostra come il 43,1% dei neolaureati decida di costruire la propria carriera fuori dall’Italia, mentre solo il 29,2% rimane entro i confini nazionali.
La ricerca, condotta da Luca Paolazzi, economista e direttore della Fondazione Nord-Est, evidenzia un esodo significativo: oltre 550mila giovani tra i 18 e i 34 anni hanno lasciato il nostro paese nel periodo compreso tra il 2011 e il 2023. Un fenomeno migratorio che sta assumendo proporzioni sempre più rilevanti e che, secondo gli esperti, potrebbe essere addirittura sottostimato nelle statistiche ufficiali.
I dati: un fenomeno in crescita
Lo studio evidenzia un fenomeno in crescita che coinvolge soprattutto regioni prospere. Nel 2022, il 48% dei migranti laureati proveniva dal Nord Italia, con un aumento di sette punti rispetto all’anno precedente e dodici dal 2019. Friuli Venezia Giulia e Lombardia registrano i tassi più alti, rispettivamente 51,5% e 50,7%. I laureati espatriati sono il 43,1% del totale, con un impressionante incremento di 25,7 punti percentuali in un decennio.
Le principali cause dell’emigrazione dei giovani laureati
I motivi che spingono i giovani laureati italiani a trasferirsi all’estero sono molteplici e significativi. Secondo lo studio presentato, le migliori opportunità lavorative rappresentano la motivazione principale per il 25% degli espatriati, seguite dalle possibilità di studio e formazione al 19,2% e dalla ricerca di una qualità della vita superiore per il 17,1%. È interessante notare come solo il 10% consideri il salario più elevato come ragione primaria per lasciare l’Italia.
Un dato allarmante emerge dall’analisi delle percezioni: il 96,1% di chi è migrato per scelta attribuisce la propria decisione alla disattenzione degli imprenditori italiani verso le condizioni dei collaboratori. Parallelamente, il 95,7% dei giovani espatriati ritiene che la mancanza di una visione internazionale persistente nel sistema italiano e le scarse politiche attivate per i giovani abbiano contribuito significativamente alla loro decisione di partire.
Lo studio evidenzia anche come gli espatriati tendano ad essere più ottimisti e occupati rispetto a chi è rimasto in Italia. Tra coloro che partono per necessità, tre su quattro hanno un’occupazione stabile all’estero, confermando come le carenze strutturali del mercato italiano stiano effettivamente privando il paese di risorse umane preziose.
Le implicazioni per il mercato del lavoro italiano
L’emigrazione dei laureati italiani sta generando un impatto significativo sul mercato interno, creando un preoccupante disallineamento tra domanda e offerta di competenze. Secondo l’economista Luca Paolazzi, il valore del capitale umano fuoriuscito dall’Italia è stimato in circa 134 miliardi di euro, ma il deflusso reale potrebbe essere tre volte superiore.
Questo fenomeno sta alimentando la competitività e la crescita degli altri Paesi europei a scapito dell’Italia, che partecipa a questa mobilità principalmente come fornitrice di talenti piuttosto che come destinazione attrattiva. La continua partenza di giovani qualificati non solo rende più difficile per le imprese italiane trovare personale adeguato, ma accentua notevolmente il mis-match tra le competenze richieste e quelle disponibili. Particolarmente preoccupante è che quasi la metà degli emigrati svolge proprio quelle mansioni tecniche e specializzate per cui le aziende italiane lamentano carenze di personale, esacerbando ulteriormente le sfide competitive per l’economia nazionale.