La carenza di nuovi insegnanti sta diventando un problema cronico in Italia e in Europa. Se non si troverà una soluzione sarà in discussione il futuro della scuola come pilastro della società.
Insegnanti, professori, docenti: la carriera nell’insegnamento attira sempre meno giovani in Italia, ma la situazione non è migliore neanche nel resto d’Europa, ad eccezione di Croazia e Cipro. E non solo: questa “crisi del reclutamento” non è limitata al Vecchio Continente, ma arriva fino agli Stati Uniti, dove persino università prestigiose come Harvard registrano un netto calo di interesse verso l’insegnamento scolastico.
Secondo The Atlantic, rivista statunitense di lunga tradizione, il problema nasce anche dal disinteresse delle università verso la formazione degli insegnanti, motivo per cui i laureati a percepiscono l’insegnamento come una scelta professionale poco dignitosa. Investire nel sistema educativo viene spesso visto come un costo a breve termine, piuttosto che come un investimento strategico per il futuro. Questa mancanza di un piano lungimirante minaccia la qualità dell’istruzione e il ruolo centrale della scuola nel formare le generazioni future.
Gli stipendi: un problema che pesa sugli insegnanti
Determinante nella crisi del reclutamento degli insegnanti sono gli stipendi troppo bassi, un problema particolarmente sentito in Italia. Secondo i dati OCSE, i docenti italiani non solo guadagnano meno dei colleghi europei, ma dal 2015 hanno anche subito una riduzione media dell’1,3% annuo nei salari reali, mentre negli altri Paesi OCSE c’è stato un aumento dell’1%. Le disparità con gli altri Stati europei sono enormi: in Germania, i docenti guadagnano il doppio, mentre in Lussemburgo quasi il quadruplo; persino la Francia, dove gli stipendi iniziali sono simili a quelli italiani, mostra un netto miglioramento a fine carriera: un docente francese delle superiori guadagna 60.832 euro lordi contro i 40.597 di un collega italiano.
Il declino del potere d’acquisto degli insegnanti italiani ha radici profonde. Il D.Lgs. 29/1993, ad esempio, ha legato gli stipendi all’inflazione programmata, condannando di fatto i docenti a perdere progressivamente valore economico. Sebbene il Ministro dell’Istruzione Valditara abbia recentemente annunciato aumenti, il saldo netto per i docenti è peggiorato a causa di trattenute fiscali e previdenziali più alte, unite all’aumento dell’inflazione. Risultato? Una perdita di 300 euro mensili in potere d’acquisto rispetto al 2020.
Fatica, burocrazia e rischi: la difficile vita dei docenti
Ma la scarsa attrattiva della professione non si limita alla questione economica. Insegnare è oggi visto come un lavoro faticoso, gravato da impegni burocratici spesso totalmente scollegati dalla funzione educativa. Inoltre, l’età pensionabile vicina ai 70 anni costringe i docenti a gestire carichi di lavoro pesanti, con classi numerose e relazioni complesse con alunni e genitori.
Un aspetto particolarmente allarmante è l’aumento delle aggressioni nei confronti degli insegnanti. Da gennaio 2023 a febbraio 2024 sono state registrate 133 denunce per violenze fisiche o verbali: 63 casi coinvolgono studenti, 70 genitori. Le cause principali? Voti bassi e note disciplinari, in un clima generale di tensione alimentato dai social media e dalla crescente ignoranza collettiva.
C’è speranza per la professione del docente?
Considerati gli stipendi inadeguati, le scarse prospettive di carriera, i carichi di lavoro e, non ultimo in ordine di importanza, i rischi crescenti legati all’insegnamento, non sorprende che i giovani laureati evitino questa strada. Per invertire questa tendenza è necessario un intervento strutturale con investimenti mirati per aumentare i salari, ridurre la burocrazia e migliorare la percezione sociale della professione.
L’insegnamento non è solo un lavoro: è un elemento centrale per la crescita culturale ed economica di una nazione. Ignorare questa crisi significa mettere a rischio il futuro stesso della nostra società.