ERRORI DI ITALIANO CHE LA CRUSCA HA DECISO DI PERDONARTI. Una delle maggiori preoccupazioni degli studenti della lingua italiana, non importa se nativi o meno, riguarda le tantissime regole ed eccezioni che costellano la favella di Dante, Boccaccio, Machiavelli, Manzoni, Pirandello fino ad arrivare a Baricco e Saviano. Ricordare tutti i potenziali errori di italiano è un’impresa davvero impossibile, e la stessa Accademia della Crusca, custode del corretto italiano (pur senza essere un covo di puristi), deve spesso arrendersi di fronte a fenomeni che percepiamo come sbagliati ma che continuiamo a usare.
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ERRORI DI ITALIANO: QUELLI PERDONATI DALL’ACCADEMIA DELLA CRUSCA. Spesso però non ci rendiamo conto che questi “misfatti linguistici” in realtà non sono reati capitali ma usi alternativi e sempre più in espansione, che la stessa Crusca ha documentato e studiato, in qualche modo legittimandoli. Vediamo quali sono, a partire dal temutissimo congiuntivo.
- Congiuntivo: da sempre considerato in via di estinzione, e simile a una specie animale da proteggere a tutti i costi, in realtà il congiuntivo può essere sostituito con l’indicativo senza troppi psicodrammi. Questo almeno nella lingua parlata, e in situazioni colloquiali non troppo sorvegliate. Il significato continua a mantenersi intatto, per quanto l’eleganza della sintassi ne risenta. Ma lingue come spagnolo, francese e inglese hanno eliminato o stanno progressivamente eliminando questo modo verbale. Il suo utilizzo rimane più una questione di stile che di correttezza grammaticale (ma non dite tutto ciò alla vostra professoressa!)
- Anacoluti: un’altra preoccupazione eccessiva riguarda la frattura di una sequenza sintattica attraverso l’introduzione di un’altra frase, sintatticamente sconnessa, che rende incompiuta la prima. Si tratta di una forma che riproduce molto bene l’incertezza del parlato, il divagare dei pensieri durante un discorso, e pertanto la si vede apparire spesso nei Promessi sposi di Manzoni, che d’altro canto si riprometteva proprio di restituire una lingua più vicina a quella usata dal popolo.
- Pleonasmi: ovvero tutte le volte che utilizziamo un verbo accompagnato da un avverbio che non fa che rafforzarne il significato, già espresso. In parole povere forme come “uscire fuori”, “salir su”, e via dicendo. Per quanto ridondanti, queste forme hanno una funzione espressiva non indifferente, che viene sempre più richiesta dall’italiano moderno, anche sulla scorta e la spinta dell’esempio inglese, in cui i cosiddetti frasal verbs sono la norma.
- Frasi segmentate: sorta di parenti dell’anacoluto, le frasi segmentate sono formate da due parti, spesso separate da una pausa segnalata da una virgola. La prima si riferisce a un argomento noto, ovvero il tema, e l’altra a una nuova informazione, ovvero il rema, tramite un collegamento costituito da un pronome. Si tratta ancora una volta di elementi invero poco eleganti e usati soprattutto nella lingua parlata, ma che di per sé non sono scorretti dal punto di vista grammaticale.
- Lui e lei usati come soggetti: si possono utilizzare le forme oblique in funzione di soggetto? Nella lingua scritta e parlata la cosa è molto comune, ma questa fenomeno trova un avvocato di enorme statura nel Manzoni, che nei suoi Promessi Sposi fa ampio uso di queste forme. La Crusca spiega che questa funzione è del tutto corretta quando il soggetto è tematizzato, cioè quando si vuole porre l’attenzione su di esso, ma anche quando è “rema”, ovvero viene dopo il verbo. Ed è innegabile che ormai “ella” ha assunto un’accezione molto ricercata inadatta alla maggior parte dei discorsi, così come lo stesso “egli”.
- Gli polivalente: quante volte abbiamo sentito il pronome maschile di terza persona “gli” al posto del corrispettivo plurale “loro” e del femminile “le”? Tantissime, e ormai quasi non ci facciamo più a caso, a meno che l’ambito di utilizzo sia altamente formale. La Crusca in questo caso afferma che vi sono attestazioni di un uso del genere anche in autori come Boccaccio, Manzoni e Machiavelli. E in particolar modo l’uso del singolare al posto del plurale è maggiormente giustificato dall’assenza di scelta tra pronome enclitico e proclitico (in parole povere: “mi dice / dice a me”) nel caso di “loro”. Maggiormente sentito come errata invece la versione di “gli” al femminile, perché censurata anche nel discorso colloquiale comune, quando avvertita.
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