In vista della Giornata della Memoria, che si celebra il 27 gennaio, gli insegnanti di italiano assegnano ai propri allievi temi sulla Shoah, ma anche riassunti, relazioni o ricerche. Il tema sull’olocausto è un tema non troppo semplice, in quanto bisogno documentarsi bene su quello che è successo durante la persecuzione ebraica da parte dei nazisti, le motivazioni, la vita nei ghetti e nei campi di concentramento.
Per questo motivo prendere spunto da una traccia svolta può essere utile a rendere un tema completo e più corposo. Noi ve ne proponiamo uno: ecco un tema svolto sulla Shoah da utilizzare come spunto per la scuola.
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Tema sull’Olocausto: introduzione
“Shoah” è una parola ebraica che significa “Tempesta devastante” e viene utilizzata per descrivere lo sterminio avvenuto in Europa tra il 1939 e il 1945 quando vennero sterminati milioni di esseri umani e, tra questi, sei milioni di ebrei.
Tema sulla Shoah: svolgimento del testo
La persecuzione degli ebrei da parte della Germania comincia ufficialmente nel 1935 con le leggi razziali dopo un’attenta opera oggi definiremmo “mediatica”, che attribuì a queste persone la colpa dell’infelicissima condizione economica in cui versava la Germania dopo aver perso la prima guerra mondiale.
Come spesso era accaduto in passato e come tuttora succede si cercò un capro espiatorio su cui riversare la rabbia del popolo tedesco che era passato dall’aspirare all’Impero a dover faticare per trovare un lavoro, capro che venne individuato nella popolazione ebraica, per tradizione colta e lavoratrice: cominciò così la fortuna di un piccolo ometto con i baffi che nel suo “Mein Kampf” (”La mia battaglia”) del 1925 auspicava alla nascita di un nuovo impero germanico, libero dall’ebreo che l’aveva corrotto e finalmente ariano.
Intorno alla figura dell’uomo e della donna ariani cominciarono a comparire una serie di miti (tra i quali quelli della saga normanna) che mostravano come questo tipo di persone fossero perfette: bellissime, “germanicamente” bionde con gli occhi chiari, risaltavano di fianco alla figura del “giudeo”, rappresentato in molte immagini propagandistiche del tempo come un uomo con il naso enorme, la gobba, capelli lunghi e unti e uno sguardo lascivo che sottintendeva una serie di turpi reati ai danni dell’ariana Germania. Dopo la famosa “notte dei cristalli” (siamo nel 1938 e Hitler è ormai salito al potere da cinque anni), chiamata così perché nottetempo furono fracassate tutte le vetrine degli esercizi commerciali ebraici così come le vetrate delle sinagoghe, la persecuzione verso la popolazione ebraica accelerò notevolmente.
E mentre la Germania entrava in guerra (invadendo la Polonia nel 1939) sul suolo tedesco comparvero i primi segni tangibili di segregazione: gli ebrei dovevano portare una stella gialla appuntata sui vestiti in modo che fosse visibile, non potevano prendere i mezzi in un determinato orario né entrare in tutti i negozi, dovevano sottostare a un coprifuoco severissimo, non potevano frequentare la scuola con gli altri o ricoprire incarichi negli uffici. Si arrivò perfino a far loro consegnare gli animali domestici. La popolazione ebraica veniva quindi sempre più rinchiusa in se stessa e per rendere ancora più chiara la politica di segregazione nelle città vennero creati dei ghetti (quello più famoso è quello di Varsavia) in cui, quando scattava il coprifuoco, venivano rinchiusi gli ebrei. E il peggio doveva ancora venire.
Quando pensiamo alla Shoah la prima immagine che ci viene in mente è quella del cancello di Auschwitz che recita “Arbeit macht frei” che vuol dire “il lavoro rende liberi”: pensare alla crudele ironia celata dietro a quell’insegna ci dà forse una misura del pensiero che portò alla nascita dei campi di sterminio. Mai prima di allora infatti era stata fatta una tale “industria” del massacro di un popolo, mai i princìpi della libera impresa erano stati applicati all’essere umano come se fosse un maiale di cui, com’è noto, non si butta via niente: se all’inizio venivano “salvati” gli individui che potevano lavorare (per gli altri, com’è noto, c’erano le docce a gas) con il procedere del tempo e l’avvicinarsi della fine della guerra il ritmo dell’assassinio metodico non fece che accelerare.
Perché, mentre la Germania era piegata dalle spese belliche e stava perdendo la guerra il massacro degli ebrei continuò a un ritmo così incalzante? Perché, anche una volta caduta Berlino i Kapò, invece di scappare e nascondersi, fecero marciare i prigionieri nella neve con il solo scopo di portarli alla morte per freddo, fatica, fame o con un colpo di fucile? Forse il bravo impiegato tedesco addetto ai fusti del gas, o a riordinare le migliaia di scarpe appartenute a migliaia di piedi o a dare l’ordine di fucilare questo o quello non pensava che sarebbe finita l’illusione della Grande Germania? Oppure invece lo sapeva ma riteneva di non esserne responsabile perché aveva semplicemente obbedito agli ordini? O ancora, parafrasando “Shining” quel luogo inumano aveva creato mostri umani, che marciavano insieme alle loro vittime perché la follia organizzata che ne aveva gestito le vite era sparita e rimaneva solo il vuoto, il nulla, l’aberrazione?
Tema svolto sulla Shoah: conclusione
Concludendo, credo che queste siano le domande che dobbiamo continuare a porci, perché i massacri, le ingiustizie e la prevaricazione del più forte sul più debole continuano a ripresentarsi nella storia lasciando strisce di sangue che condizionano i popoli a venire e rendendo in alcuni casi quelle che erano le vittime di un mostruoso sterminio programmato gli artefici della prossima pulizia etnica.
Interrogarci sul male, sulla sua banalità e sulle incredibili vette (o sugli incredibili abissi) che è in grado di toccare riconoscendolo come prodotto umano, intollerabile, ingiusto, violento ma comprensibile e quindi responsabile è forse il modo giusto per impedire che la storia continui a ripetersi sulla base di un’antica canzone di sopraffazione che forse non ha più alcun senso di esistere.
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