All’Università di Trento tutte le cariche al femminile
Ebbene sì, nel nuovo regolamento generale di ateneo dell’Università di Trento è stato deciso – lo prevede un comma introdotto all’articolo 1 – che venga usato il genere femminile per tutte le cariche, anche quelle che riguardano gli uomini. Già, perché nonostante lo si usi da anni in tutti i campi per intendere sia professioni – e non solo – femminili, il maschile non è un genere neutro. Né tantomeno neutrale. Ancor meno inclusivo. E, prendendo in prestito le parole della sociolinguista Vera Gheno, viene “usato solo per tradizione, perché la nostra è una lingua androcentrica”. Queste sono le state le premesse che hanno portato a mettere in atto un vero e proprio cambio di prospettiva.
L’uso del “femminile sovraesteso”
Niente più presidente, rettore, segretario, professore, candidato, collaboratore scolastico ma presidente, rettrice, segretaria, professoressa, candidata, collaboratrice scolastica. Per tutti, senza distinzione di genere. A chiarire come si sia giunti ad una tale decisione è stato lo stesso rettore – o, meglio, rettrice – Flavio Deflorian. L’esigenza era quella di rendere più leggero il documento senza, ogni volta, dove prevedere sia la carica al maschile che al femminile. Così si è deciso di scegliere un solo genere e, a sorpresa, si è optato per il secondo. Per tutti. Un “femminile sovraesteso”, come è stato definito, che va decisamente in controtendenza con quanto avvenuto fino ad ora. E che, tra l’altro, abituati come siamo a vedere usare il maschile ovunque, dovrebbe anche riuscire, sempre secondo Deflorian, a “mantenere all’attenzione degli organi di governo la questione”. Cambiando le parole, possiamo cambiare la realtà? Se un cosa è certa, è che l’inclusività sta anche in questo: nell’allontanarsi un attimo dalle cose come si sono sempre viste e dal provare a considerarle da un’altra prospettiva. Quella delle “minoranze”.
Il Cda l’ha approvato all’unanimità
Tra l’altro, questa decisione non arriva dal nulla. Già nel 2017 l’Ateneo aveva approvato e diffuso un vademecum volto all’uso di un linguaggio che fosse rispettoso delle differenze al fine di promuovere un uso non discriminatorio della lingua italiana nei vari ambiti della vita quotidiana dell’università.
Lo stesso rettore ha ammesso che leggere il nuovo regolamento non lo ha lasciato indifferente. Anzi. Ha detto di aver riflettuto “sulla sensazione che possono avere le donne quotidianamente quando non si vedono rappresentate nei documenti ufficiali”. E’ qui che Deflorian ha ritenuto opportuno rompere gli schemi e dare un importante segnale di discontinuità. Naturalmente, la decisione ha suscitato dei pareri contrastanti. Se c’è stato chi l’ha accolta con entusiasmo, c’è chi, invece, non l’ha presa benissimo. Tuttavia, il Cda l’ha approvata all’unanimità, e questo non è affatto poco.
Cosa ne pensa la ministra dell’Università Anna Maria Bernini
C’è stato un tiepido accoglimento da parte di Anna Maria Bernini, ministra dell’Università, la quale ha dichiarato a Radio24: “Non posso che rispettare la decisione”. Tuttavia, ha anche sottolineato il fatto che quello delle pari opportunità sia un tema complesso e delicato che merita degli sforzi che vadano ben oltre dei meri fattori lessicali. Ad esempio, i finanziamenti dei centri anti-violenza. Non l’hanno presa bene, invece, nel centrodestra. La Lega l’ha definita ridicola come scelta, mentre Julia Unterberger, presidente del Gruppo per le autonomie in Senato, ha dato ragione al rettore condividendone la scelta di rivendicare il valore simbolico della proposta.
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